

La Galleria Artesilva prosegue la stagione espositiva con una mostra-dialogo dedicata a due artisti californiani: Alex Couwenberg e Laddie John Dill.
Fortemente legati alla propria terra natia, nelle opere dei due artisti se ne sente tutto il profumo. Luce e colore sono infatti le parole chiave del loro lavoro dai connotati astratti, con un chiaro rimando ai riflessi della luce sull’oceano e ai colori caldi delle chilometriche spiagge californiane.
Pur partendo da un’ispirazione comune, Couwenberg e Dill giungono, però, a soluzioni estremamente diversificate. Se da una parte, infatti, Couwenberg riprende la tradizione pittorica dell’olio su tela, donandole nuovo vigore e profondità con giochi geometrici e colorici ripresi dal mondo del surf e dello skateboard, dall’altra Dill rompe con essa, prediligendo la sperimentazione di nuove tecniche e materiali come plastiche, neon, resine, cementi, vetri, allumini, creando opere simili a onde di luce sinuose.
di Cynthia Penna
Con questa mostra presso la Galleria Artesilva di Seregno ci approcciamo ed anzi, di un sol colpo, ci addentriamo nel mondo dell’arte Statunitense e più precipuamente Californiana.
Quest’arte ha un background, un assetto e una specificità assolutamente peculiari che non trovano riscontro in nessun’altra produzione a livello mondiale perché fortemente influenzati da una specificità geofisica che pone la California in bilico, a metà strada tra deserto e oceano e questo crea fattori determinanti in termini di percezione visiva e riflessione della luce.
Tutta l’arte californiana fraseggia attorno ad elementi specifici che sono: lo spazio, il colore, la luce.
Gli enormi spazi di deserto incombenti immediatamente nell’entroterra, si fondono con l’immensa massa di acqua dell’Oceano Pacifico creando un’atmosfera che oscilla tra nebbie intense e cieli tersi e asciutti. A volte una lieve nebbiolina determina una luce biancastra e intensa che non si può neanche guardare ad occhio nudo tale la potenza del riflesso sulle superfici.
Una combinazione unica di luce intensissima e luce riflessa dalla superficie dell’acqua che si irradia e si “deterge” nell’impatto con la secchezza dell’aria e dei venti del deserto.
Un vero “eden” per artisti “cercatori di luce” e per quelli che lavorano con la spazialità.
Pertanto Spazio e Luce sono gli elementi di maggiore influenza dell’arte californiana e non a caso hanno dato le origini al Movimento tutto e precipuamente Californiano denominato “ Light and Space”.
Nel 2012 il Getty Center di Brentwood ha storicizzato questo movimento con una grande kermesse di arte durata un anno, che ha visto ben 80 Istituzioni pubbliche e private californiane coinvolte in esposizioni di tutta la produzione legata a questo movimento.
Light and Space ebbe i suoi albori negli anni ’60 quando un gruppo di artisti che gravitavano attorno alla Ferus Gallery di Los Angeles, iniziò a sperimentare nuove tecniche di espressione e soprattutto nuovi materiali presi a prestito dalla vita quotidiana come le plastiche, i metacrilati e le resine.
Ma soprattutto questi artisti vollero fortemente staccarsi dal “regime” imperante nell’arte americana a quel tempo, molto legato agli esperimenti dell’Espressionismo astratto e dell’action painting degli artisti dislocati sulla Costa Est degli Stati Uniti e massimamente a New York.
Vi erano già stati segni precursori di questa “rivoluzione” intorno agli anni ‘20/’30 con l’abbandono della Costa Est da parte di un gruppo di artisti che erano emigrati in New Mexico a Santa Fe creando una comunità che, attorno alla carismatica figura di Georgia O’Keffe, studiava il rapporto della pittura con la spazialità e la luce.
Ma mentre questi ultimi continuarono a sperimentare con pittura bidimensionale o scultura “classica” o fotografia, la generazione successiva di artisti californiani decise di rompere anche con i materiali “classici” e di introdurre nell’arte nuovi materiali come ad esempio gli allumini aerospaziali sulla scia delle ricerche in campo spaziale che la NASA stava portando avanti proprio in molti di quei deserti che circondano la California; oppure le resine sintetiche, i metacrilati e soprattutto i neon facendo assurgere ad “arte” materiali adoperati nella quotidianità della vita. Altra fonte di “ispirazione” erano le Rod Cars cioè quelle automobili diciamo “personalizzate” che usavano pitture sintetiche a spruzzo e che giocavano con colorazioni accese e impensabili all’epoca per autovetture, ma che tanto entrarono nell’immaginario e nei desideri delle nuove generazioni di “ribelli” degli anni ’60.
L’industria automobilistica fornì agli artisti nuovi materiali come le pitture Murano e una varietà di pigmenti riflettenti, perlescenti e iridescenti. Anche lo sport del surf beneficiò della recente introduzione di sostanze come fibra di vetro e resine e se ne appropriò per nuove creazioni.
Molti artisti erano essi stessi dei surfers; imparando come usare questi nuovi materiali per lo sport, facilmente trasferirono ciò in un contesto artistico. Ispirati da queste attività molto in voga gli artisti trasferirono il vocabolario dei materiali della cultura delle auto e dei surf in estetica, creando arte con superfici luccicanti, e proprietà riflettenti, trasparenti e traslucide.
Il linguaggio del “ finish fetish” era nato.
Una nuova forma artistica tutta giocata sulla tridimensionalità e soprattutto sugli effetti visivi della proiezione e riflessione della luce sull’occhio umano come si può ritrovare nelle opere di John McCracken.
Ciò che maggiormente intrigava la ricerca di questi artisti era la percezione visiva della luce e la riflessione della luce sulle superfici, ma soprattutto l’effetto di “bounce back” cioè di rimbalzo della luce che dalle superfici si trasmette all’occhio umano.
Quali erano gli effetti ottici e soprattutto visivi di un raggio di luce riflesso da un metacrilato o da un alluminio e quali erano le metamorfosi che l’oggetto subiva attraverso questi riflessi in termini di forme nello spazio?e quali erano le metamorfosi percepite dall’occhio umano in termini di colorazione dell’oggetto? Quest’ultimo poteva subire trasformazioni percettive anche in termini di forma e di colore se penetrato dalla luce ? Come una forma poteva variare non in termini reali, ma illusori determinati dalla percezione visiva sotto l’effetto di un raggio di luce che attingeva o trapassava l’oggetto?
questi i temi che non hanno mai più abbandonato le generazioni a venire di artisti Californiani che , condizionati da una estrema intensità della luce e del colore, ancora attualmente stanno sperimentando nuove forme di arte che contengano comunque i due elementi basilari di spazio e luce.
La nuova generazione di “sperimentatori”, oltre a tecniche o tecnologie innovative, si è anche di nuovo misurata con l’elemento pittorico, ma ricca dell’esperienza di padri e nonni, si approccia attualmente in maniera diversa ed usa diversamente materiali come pitture acriliche, carte, plastiche e legni non abbandonando mai il concetto di ricerca e sperimentazione che contraddistingue gli artisti americani come “artigiani” del fare che non è una diminutio del loro essere artisti perché l’artista al pari di uno scienziato deve sperimentare incessantemente con gli arti e col cervello.
Relativamente ai due artisti presenti in mostra Laddie John Dill fa parte della generazione dei primi “sperimentatori di luce”, avendo iniziato la sua carriera focalizzandosi su una ricerca espressiva molto speciale determinata dall’uso e dalla creazione di opere d’arte con NEON.
In questa esposizione sono presentate opere costruite con l’uso di allumini aerospaziali che forgiati e spazzolati a mano, riflettono la luce restituendola allo spettatore in un crescendo luminoso.
Altre opere sono costruite con cementi e vetri che si intersecano tra loro in una apparente costruzione geometrica che serve a delimitare gli spazi, ma che viene poi frantumata dalla luce che riverbera dal vetro e dal movimento dei cementi colorati inseriti al di sotto dei vetri.
Alex Couwenberg appartiene alla generazione dei giovani che hanno seguito le orme dei pionieri della luce.
Le sue opere sono caratterizzate dalla sovrapposizione ossessiva di strati di pittura acrilica lucida in numero indefinito, ma certamente elevatissimo: non meno di una ventina di strati che, sovrapponendosi ed intersecandosi tra loro, formano una composizione che si pone a metà tra l’astrattismo geometrico e uno spazialismo di nuova generazione. Soprattutto la stratificazione del colore opportunamente gestita serve all’artista per movimentare la scena che risulta estremamente dinamica e conduce all’idea di forze vettoriali in movimento o alla velocità espressiva resa in bidimensionale dei nostri Futuristi di primo Novecento.