Novembre – Dicembre 2023
Artisti correlati:
Minus/Plus – Jacques Toussaint
a cura di Alberto Zanchetta
Prologo – Ho appuntamento con Jacques Toussaint alla stazione di Bassano del Grappa. Approfitto quindi del viaggio in treno per leggere un libro di Giuseppe Pontiggia, tra le cui pagine incappo in una sagace annotazione: «Il terrore della pagina bianca. E di quella scritta?». Mi ci riconosco appieno.
Da qualche parte bisogna pur iniziare, proviamo allora a immaginare un urbanista che si ostini a inscrivere una curva nel reticolato stradale di New York. Si tratterebbe di un importante elemento di rottura, capace di destabilizzare il traffico, mettendo a soqquadro l’intera città. È con la stessa apprensione che osservo l’arco che si profila nei Teatrini ideati da Jacques Toussaint. Mentre fisso l’anomala geometria di fronte a me, avverto un senso di disorientamento che imputo all’incapacità di definire con precisione la sagoma che si delinea all’interno della lamina quadrata. Sarebbe riduttivo catalogarla come un pentagono, anche perché un angolo è ripiegato verso l’interno, accordando una profondità a una superficie sostanzialmente bidimensionale. Quell’inflessione permette una lettura all’indietro, e dall’interno, come se volesse orientare il mio sguardo in profondità.
Sorrido al pensiero si tratti di un “solido” geometrico, giacché non ha un volume effettivo (è più simile a un disegno nello spazio, ma volendo essere ancora più precisi, direi che è un rilievo che fa corpo con il vuoto). La stessa forma è riproposta in tre variazioni cromatiche: il bianco, che instilla un senso di neutralità, alla stregua di un foglio di carta intonso; il grigio, che coincide con la lastra d’acciaio, senza ulteriori orpelli; il blu cobalto, che attrae a sé e al contempo pare arretrare dinanzi a me.
Questo blu sembra sfuggente, forse perché viene da molto lontano. È del 1967 una piccola tempera su carta di Toussaint che rappresenta dei tubetti di colore: ne troviamo uno verde, uno nero, uno rosso e addirittura due di blu oltremare. Con questa tautologica natura morta l’artista preconizzava una cesura tra il periodo figurativo e l’approdo al tachisme, ma già nel decennio seguente si predisponeva a un’ulteriore svolta, decisamente più sintetica e analitica, incentrata su frattali uncinati che la tecnica del collage permetteva di aggregare e rimodulare a piacimento. In quel periodo il gesto cedeva definitivamente il posto al segno, che diventava una matrice e allo stesso tempo una consacrazione.
Pur identificandosi con il proprio segno “graphic”, ancor oggi Toussaint si muove con disinvoltura tra le due e le tre dimensioni, così come tra le arti visive e il design. Tutta la sua ricerca si basa su un nucleo seminale che progredisce, si rinnova e perfeziona con il trascorrere degli anni. Come spiega Manlio Brusatin: «il logo costante della riflessione grafica di Toussaint è un quadrato, meglio un particolare quadrato normalmente ruotato di trenta gradi che si moltiplica in una proiezione ortogonale riproponendo, a sua volta, i lati di quattro quadrati». Grazie a una pratica costante e implacabile, l’artista si è abituato a dividere, ruotare, piegare o tagliare i quadrati per poterne estrarre rettangoli, triangoli, cerchi, croci che costituiscono un lessico preciso, finanche peculiare.
Se «la chiarezza della visione è un’opera d’arte», negli ultimi anni Toussaint ha inteso riflettere sulla continuità e densità della propria ricerca estetica. Mentre elaborava nuove idee, ha avvertito la necessità di cimentarsi con inedite soluzioni d’allestimento che riuscissero ad amplificare e integrare la sua vasta produzione. Esattamente come le idee, anche le opere hanno iniziato a evolvere e rinnovarsi. È questo il caso della scultura Statico/Dinamico, realizzata per la prima volta nel 1997 e poi rielaborata nel 2021. A distanza di ventiquattro anni, l’artista è intervenuto sulla forma preesistente, unendo con due semicerchi le estremità di una croce trilaterale desunta dalla Einheit aus drei gleichen Volumen di Max Bill (1968).
Mentre passa in rassegna i propri esiti formali, Toussaint non fa mistero delle proprie fonti d’ispirazione, non lesina infatti di citare quelli che considera i suoi maestri, da Jean Bazaine a Mario Prassinos, da Mies van der Rohe a Alvar Aalto, da Costantin Brancusi a Bruno Munari. A ognuno di loro riconosce un’importanza cruciale, ciò nondimeno i suoi “omaggi” non sono mai pedissequi, con discrezione e altrettanta convinzione riescono sempre a trascendere il modello originale.
Improvvisamente, il braccio di Toussaint si allunga in direzione dell’elemento Statico/Dinamico e lo fa roteare con un rapido gesto della mano. La scultura inizia ad avanzare e a retrocedere nella stanza con un movimento sincopato ma costante. L’opera fa vibrare l’aria emettendo un fruscio metallico, a tratti ipnotico, come una meridiana che si ostinasse a scandire lo spazio anziché il tempo. Suppongo che nella lingua madre dell’artista si ricorrerebbe alla parola cinématiqueper individuare questa “geometria del movimento” che oscilla tra l’intuizione artistica e l’invenzione tecnica. E non per caso Walter Gropius aveva coniato lo slogan arte e tecnica, una nuova unità di cui Toussaint si fa erede e alfiere nell’ambito del design, riuscendo ad applicare le sue ricerche estetiche nella sfera del quotidiano.
Anziché rimarcare la dicotomia tra le due discipline, Toussaint ha abolito le gerarchie per pervenire all’idea di unaGesamtkunstwerk, un’opera totale che sia omnicomprensiva della propria esperienza creativa. Ottemperando agli obblighi imposti da un’archiviazione sistematica, l’artista si è trovato nelle condizioni di ripercorrere e riavvolgere il proprio segno grafico, sottoponendosi sia a un severo riesame del passato, sia a un’attenta meditazione sul presente; [in]seguendo questa curva d’apprendimento, Jacques Toussaint resta però indenne alla prova del tempo, merito del suo approccio autocritico, suscettibile di eccezioni ed effrazioni rispetto a un’implacabile ortogonalità.
Epilogo – Dopo aver salutato e ringraziato l’artista, riprendo il treno verso casa. Proseguo dunque nella lettura di Pontiggia, meditando sul seguente brano: «sono particolarmente accetti gli aggettivi della famiglia artigianale: accurato, preciso, puntuale, impeccabile. Il vertice resta sempre, in una società che lo ignora, il rigore». Di certo ne converrebbe anche Toussaint.